Se i genitori
rinunciano a educare
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«Con la crescente intolleranza sociale, culturale e psicologica nei confronti dei bambini. Capricci, crisi di rabbia, fase del no: tutto quello che era perfettamente normale nella crescita di un bambino oggi viene considerato l’incipit di un disturbo. Compito dei genitori sarebbe quello di insegnare al figlio come tollerare le inevitabili frustrazioni della vita. Ma qualcosa è successo, ai genitori più che ai figli. Si dovrebbe anche semplicemente sapere che a un bambino basta dormire due ore in meno per entrare in agitazione, ma a quanto pare non si sa più. Non puoi pensare che tuo figlio abbia qualcosa solo perché tu non sai cosa fare. Oggi invece la sollecitazione è “fallo vedere”».
«Sempre più spesso, in una logica iperprotettiva e narcisistica. Il figlio deve soprattutto essere visto, poter essere esibito nella sua unicità: è questo lo spirito del tempo. La cosa peggiore che ti possa capitare è non essere visibile perché troppo normale: una catastrofe, per la mentalità narcisistica, mentre la neurodiversità rende visibili. Va anche garantito l’accudimento più esclusivo. In questo modo si crea la tempesta perfetta. Ma dare vita a questo sistema di ‘etichettatura’ preventiva è giocare in modo spregiudicato con il destino del bambino, che poi l’etichetta la porterà tutta la vita. Abbiamo lasciato che la neuropsichiatria sostituisse l’educazione. Io lavoro per smontare queste neurodiagnosi, per liberare dall’etichetta, verificando quello che non è andato – iperprotezione, sovraesposizione agli schermi, poco sonno eccetera – e aiutando i genitori a tornare in carreggiata. Un metodo educativo e pedagogico».
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«Nessuna legge norma queste pratiche di screening a tappeto. Sono dei plus – diciamo così – dei benefit offerti dalle scuole e vanno alla ricerca dell’immaturità del bambino. Se vuoi alla fine della materna o all’inizio delle elementari puoi sottoporre tuo figlio a questi test che in realtà non offrono alcuna garanzia di scientificità, a meno che non vengano offerti dalla sanità pubblica.
Si tratta di screening che si basano sulla somministrazione di test e non sull’osservazione del bambino, che invece è fondamentale». Una sorta di ipocondria di massa per procura. «Esatto. Poi se si trova qualcosa di strano puoi sempre sottoporre il bambino a terapia in questi centri privati. A pagamento».
«Esatto. Poi se si trova qualcosa di strano puoi sempre sottoporre il bambino a terapia in questi centri privati. A pagamento».
«Le leggi su questi temi sono tre: la più antica è la 104 sulla disabilità. Una volta riguardava casi gravi come la Sindrome di down, ragazzi con gravi lesioni cerebrali riportate alla nascita, e così via. Oggi nell’80% dei casi la norma si applica invece a problemi di tipo neuro-emotivo, ADHD (attention deficit hyperactivity disorder), disturbi nello spettro autistico o perfino plusdotati.
Per questi casi si prevedono insegnanti di sostegno – in Italia un insegnante su tre è di sostegno, siamo in cima alle classifiche mondiali – ma anche assistenti educativi uno-a-uno pagati dai comuni il cui bilancio è spesso prosciugato da queste necessità: non restano più fondi per progetti di prevenzione educativa. E soprattutto, supportati in questo modo, i ragazzi non attivano processi di sviluppo endogeno».
«La 170 del 2010 che riguarda i disturbi dell’apprendimento: dislessia, discalculia, disortografia, disgrafia. Intendiamoci: la dislessia è un disturbo serio, una deficienza neurologica che secondo le statistiche mondiali riguarda il 2-3% della popolazione. Ma ormai vediamo cinque o sei casi di dislessia su 20-25 alunni: qualcosa non torna, nel calderone finiscono anche difficoltà general-generiche. L’ultima norma, infine, è quella sui Bes, bisogni educativi speciali, direttiva ministeriale del 2012.
Non tutto poteva essere classificato come disabilità o disturbo dell’apprendimento: quello che resta fuori è rubricato come Bes e spesso riguarda bambini e ragazzi stranieri o in situazioni di disagio. Si elabora un Pdp, piano didattico personalizzato, che per i genitori può costituire una comodità a basso rischio. Io penso che questo sistema debba cambiare».
«Tornando al primato dell’educazione. Fatto salvo il bisogno reale di alcune minoranze – un decimo rispetto ai numeri che vediamo oggi – si deve tornare a lavorare sul versante educativo aumentando gli investimenti, mentre come detto oggi un’enorme quantità di risorse viene destinata per pagare gli insegnanti di sostegno e gli assistenti educativi. Nella gran parte dei casi non ci troviamo di fronte a problemi neuropsichiatrici ma a una grande fragilità educativa della famiglia.
Troppo spesso constatiamo che i basilari sono dimenticati, i nuclei sono isolati, non esiste una comunità che aiuti. La neuro-medicalizzazione drena una enorme quantità di risorse, mentre iniziative a sostegno delle giovani famiglie, come le mie ‘scuole genitori’ e altre analoghe non sono adeguatamente supportate. I genitori sono la più grande risorsa che i bambini hanno a disposizione e vanno sostenuti nel loro compito prezioso. L’educazione deve diventare il vero progetto di cura».