Crisi familiari: un trauma da non ignorare

Come la conflittualità tra genitori nelle separazioni può influire sullo sviluppo dei figli

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Luigi Cancrini
Psichiatra
Centro studi di terapia familiare e relazionale
Perché le famiglie oggi sono così fragili?

La separazione e il divorzio sono pratiche ormai così comuni da non destare un particolare interesse o una particolare preoccupazione. Questo entrare delle separazioni fra i fatti comuni della vita, tuttavia, ci ha portato lentamente a sottovalutare l’entità dei danni che queste scelte producono a livello dei figli. 

Pratico la terapia famigliare ormai da tanti anni e sono costretto ogni giorno a confrontarmi con la gravità delle conseguenze che il trauma legato alla separazione dei genitori provoca a livello del figlio. In modi diversi nelle fasi diverse della sua vita successiva. 

Cominciando dall’inizio, è importante notare che i bambini molto piccoli possono non dare segnali importanti del trauma che stanno vivendo e che resterà chiuso nel loro cuore, spesso fino alla vita adulta. Così come quelli un poco più grandi se ne stanno in silenzio, cercando (spesso non consapevolmente) di far vedere che sono bravi per “calmare” i genitori in crisi. Mentre è tipico in preadolescenza, e ancor più in adolescenza, il dolore negato degli acting auto ed eterolesivi. 

Al di là della diversità apparente di tutte queste reazioni, quello che dovrebbe essere visto e abitualmente viene ignorato è il trauma vissuto da tutti questi minori: un trauma di cui ci si dovrebbe occupare subito e non più tardi, dopo che la rimozione ne ha nascosto gli effetti o dopo che l’esplosione ha fatto danni ormai troppo grandi.

Come? Il fatto da cui dovremmo partire è quello per cui la psicoterapia è una cosa seria la cui importanza è spaventosamente sottovalutata all’interno di troppe situazioni. Quando nelle separazioni conflittuali il contributo del perito psicologo si limita a test che valutano la personalità dei genitori per spiegare la “improprietà” dei loro comportamenti, quelle che vengono paurosamente sottovalutate sono le risorse che in quegli stessi genitori potrebbero essere attivate con un buon lavoro di terapia.

Quando la mediazione famigliare viene affidata ad avvocati e psicologi privi di competenze psicoterapeutiche, quello che viene messo al centro della discussione è l’interesse economico e affettivo dei coniugi e paurosamente sottovalutato è invece il potenziale straordinario, dal punto di vista clinico ed umano, del terapeuta famigliare: un professionista che ascolta e accoglie il dolore delle persone ma non giudica; un professionista che lavora per favorire la comunicazione in crisi fra persone che tendono a trasformare in parole e comportamenti gonfi di aggressività l’esperienza di lutto («qualche cosa nella mia vita non ha funzionato, un’esperienza in cui ho creduto e in cui comunque mi sono impegnato si chiude per sempre»), e che trasformano in colpe dell’altro anche i più evidenti dei loro errori, aiutandole a elaborarlo accettando il dolore della perdita.

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Sta proprio in questo cambio di prospettiva, a mio avviso, il cambiamento di cui ci sarebbe bisogno in questo tipo di situazioni oltre che in tutte le situazioni in cui si parla di maltrattamento in famiglia. Riflettendo in particolare sull’osservazione di Freud a proposito delle resistenze, quello cui si dovrebbe pensare, infatti, è che le guerre famigliari, quelle che si combattono nei tribunali per le cause di separazione e quelle che si combattono nel chiuso delle case quando il conflitto va oltre il limite, sono sostenute regolarmente da emozioni e da comportamenti che servono – di più in chi sta più male – a negare il dolore del lutto e della perdita, rendendo difficile o impossibile la comunicazione fra le persone che nelle guerre sono coinvolte. 

Curare, in questi casi, significa aiutare le persone a prendere coscienza di quello che sta accadendo dentro di loro: come con risultati importanti si sta facendo da più di dieci anni in Belgio dove accettare il lavoro psicoterapeutico propone al “maltrattante” la possibilità di un percorso alternativo a quello legale. E come accade ogni giorno nello studio dello psicoterapeuta per le separazioni conflittuali quando il se e il come separarsi viene affidato al confronto il più possibile aperto e autentico fra i coniugi. Costretti da questo tipo di lavoro a mettere al centro del discorso i figli: il più prezioso dei beni che essi hanno comunque in comune.

Difficile, ovviamente, utilizzare questo tipo di concetti in modo sufficientemente diffuso. Servirebbero per farlo modifiche legislative, soprattutto per ciò che riguarda i maltrattamenti, perché l’intervento obbligatorio di chi si occupa di salute mentale potrebbe essere di grande aiuto per il giudice che si affida oggi solo alle prescrizioni e ai braccialetti elettronici. Ma servirebbe soprattutto, anche per le separazioni, l’intervento dei servizi consultoriali: un intervento che potrebbe essere obbligatorio quando ci sono figli e che sarebbe possibile attuare però solo quando il numero di questi servizi e la formazione di livello psicoterapeutico del personale saranno tali da soddisfare la valanga di interventi che si renderebbero necessari. 

La prevenzione nel campo della salute mentale è resa impossibile proprio dal persistere di queste carenze. Molte patologie psichiatriche e molte derive comportamentali potrebbero essere evitate se si iniziasse a lavorare con strumenti idonei e in modo sistematico nel momento in cui i figli vivono il trauma della separazione o della violenza: un obiettivo che è possibile proporre oggi, sulla base dei dati proposti dalla clinica delle buone pratiche, come obiettivo che può essere raggiunto, se si riuscirà ad averne sufficiente consapevolezza, se si riuscirà a volerlo davvero. Sapendo che il sistema attuale non è solo inefficiente ma è anche enormemente costoso e che quello cui si dovrebbe porre mano è soprattutto una riorganizzazione intelligente della spesa.

Coinvolti 112 mila minorenni

Nel 2022, secondo Istat, in Italia sono stati 111.949 i minorenni coinvolti in una separazione o divorzio. Un numero sostanzialmente nella media, se calcolata a partire dal 2015. Un insieme di bambini e ragazzi costituito da 68.020 affidati nelle separazioni (per il 93,6% dei casi da un tribunale) e da 43.929 nei divorzi. Il picco degli affidamenti si è registrato nel 2018 con 126.550 minori coinvolti, mentre il minimo è stato nel 2020 con 96.539 casi. Nel Sud e nelle Isole nei divorzi si riscontra dal 2015 al 2022 un incremento record, pari rispettivamente all’81,2% e all’86,8%. Nelle separazioni si riscontra un calo del 5,7% nel Nord Ovest, dell’11,2% nel Nord Est e del 9% nel Centro, mentre nel Sud e Isole il numero dei minori coinvolti è cresciuto di un quarto (rispettivamente del 24,2% e del 25,5%). Ma a chi sono affidati questi bambini e ragazzi? Nel 2022 nelle separazioni in oltre nove procedimenti su dieci (94,7%) l’affido è condiviso tra i genitori (con aumento al crescere dell’età dei figli), mentre per lo 0,5% è al solo padre, per il 4,2% alle sole madri e per lo 0,6% a terzi. Sempre nel 2022, in caso di divorzio gli affidamenti esclusivi alle mamme sono stati il 6% e quelli a entrambi i genitori (91,9%) sono risultati più bassi di quelli nelle separazioni. In ogni caso si tratta di numeri ben diversi rispetto al 2015, quando gli affidamenti condivisi erano  il 79,9% nelle separazioni e l’88,2% nei divorzi.

Agia: incentivare la mediazione

Mamma e papà litigano? Una risposta c’è e si chiama mediazione familiare: uno strumento per risolvere pacificamente i conflitti coniugali e che può tutelare i figli minori coinvolti. La mediazione rappresenta un mezzo per ricostruire i legami nella separazione, favorisce un dialogo costruttivo tra genitori e garantisce la protezione del benessere dei minori, mettendoli al riparo dai conflitti che potrebbero comprometterne lo sviluppo emotivo. L’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, a tal proposito, ha formulato una serie di raccomandazioni per incentivare il ricorso all’istituto. In cima alla lista c’è l’idea di aiutare economicamente le coppie che vogliano ricorrere alla mediazione, magari attraverso il “gratuito patrocinio” del mediatore. L’Autorità propone inoltre che si possa riconoscere un riduzione di pena a chi abbia commesso il reato di sottrazione di minore e accetti di seguire un percorso di mediazione. Il Ministero della giustizia invece dovrebbe mettere a punto linee guida chiare e sollecitare i tribunali a puntare di più sulla mediazione. Una proposta è quella di aprire sportelli informativi nei palazzi di giustizia e creare elenchi ufficiali di mediatori. Tra le raccomandazioni anche la revisione delle regole per i mediatori e corsi universitari e di aggiornamento per avvocati e magistrati. Proposta una Giornata nazionale della mediazione.

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